di Irene Cannata
Il Novecento è stato definito in Occidente, già molto prima della sua fine , ” Il secolo della danza”: non per il declino del balletto e delle sue manifestazioni spettacolari, che anzi si invigorirono grazie a innovatori come George Balanchine, Maurice Bejart e William Forsyt , ma per la qualità di esperienze e ricerche avviate già alla fine del XIX secolo.Nuovi stili, tecniche, tendenze d’avanguardia, poetiche d’autore e vere e proprie rivoluzioni, capaci di accostare la danza ad altre arti in modi nuovi e inaspettati.Una donna dal nome Isadora Duncan all’inizio del secolo mette le basi per un epocale cambiamento nello stile della danza. Isadora è una danzatrice dal colorito roseo e, a dispetto delle leggerissime e effimere ballerine classiche, è quasi paffutella, americana, ultima di quattro figli, giunse a Londra e poi a Parigi senza soldi, amici e vere credenziali artistiche.
Fu artefice di una radicale rottura nei confronti della danza accademica: abolì nei propri spettacoli le scarpette da punta, che considerava innaturali, e gli artificiosi costumi indossati dalle ballerine del XIX secolo, preferendo indossare abiti semplici e leggeri, che ricordavano il peplo dell’antica Grecia, e danzando a piedi nudi. Scelte che si coniugavano con l’esigenza di favorire la libertà e l’espressività dei movimenti.
Le sue “danze libere” furono interpretazioni emotive, impressionistiche, di composizioni di celebri musicisti come Fryderyk Chopin, Ludwig van Beethoven, Christoph Willibald Gluck, nelle quali il suo corpo dolce ed espressivo suppliva alla povertà di mezzi tecnici. Isadora si ispirò moltissimo agli elementi della natura; le onde del mare, il volo degli uccelli , le corse dei cavalli, non per imitarne i movimenti, bensì per sentire come il suo corpo( che subì notevoli trasformazioni nel corso della sua vita tumultuosa)non solo faccia parte della natura ma sia la natura stessa. La Duncan desiderava fortemente creare la danza del futuro ispirandosi alla plasticità dell’arte greca, basandosi sul sentimento e sulla passione dettati dalla natura e dalla forza della musica. La sua importanza nella storia della danza è grande, sia per l’interesse che seppe suscitare nelle platee di tutto il mondo, sia perché le sue idee furono rivoluzionarie per la sua epoca e costituirono per i suoi successori l’impulso per la creazione di nuove tecniche diverse da quella accademica e per una nuova concezione della danza teatrale. Sergej Djagilev e Mikhail Fokin la videro ballare per la prima volta a Pietroburgo nel1905 e ne rimasero molto colpiti. Per Isadora quello era un periodo di grandi successi internazionali. In seguito tornò in Russia per aprire una scuola di danza a Mosca su invito di Lenin.
Secondo Alberto Savinio riuscì a mettere luce di occhi nei piedi e luce di cervello.
La sua fama è ingiustamente più legata al suo protagonismo pubblico che non alla scelta di danzare se stessa, la propria vita nella gioia e nei dolori.
Ebbe infatti un’esistenza assai movimentata, trascorsa in gran parte sul suolo europeo, alternando i successi artistici a delusioni personali ed eventi luttuosi, tra cui la morte prematura dei due figli Deirdre e Patrick, che nel 1913, a 7 e 3 anni, annegarono tragicamente nelle acque della Senna assieme alla loro governante. Fu una donna emancipata ed ebbe intense relazioni affettive, tra cui quella con l’attore e regista Edward Gordon Craig (dal quale ebbe la figlia Deirdre), quella con il facoltoso industriale Paris Singer, figlio del fondatore della fabbrica di macchine da cucire Singer (dal loro rapporto nacque Patrick) e quella con il poeta Sergej Esenin, diciotto anni più giovane di lei: lo conobbe nell’autunno del 1921 durante la permanenza in Russia, nello studio del pittore Aleksej Jakovlev, e lo sposò il 2 maggio del 1922. La Duncan, però, conosceva solo una dozzina di parole russe ed Esenin non parlava alcuna lingua straniera: insieme girarono l’Europa e l’America, ma la loro burrascosa relazione finì l’anno successivo ed Esenin tornò in Russia (due anni dopo, nel dicembre 1925 Esenin morì suicida a Mosca in circostanze controverse)
Isadora morì il 14 settembre 1927, a Nizza, strangolata dalla sciarpa che indossava: le frange si erano impigliate nei raggi delle ruote dell’automobile da corsa Bugatti (probabilmente un modello “aperto” Type 35 o Type 37[4]) sulla quale era appena salita, salutando gli amici con una frase rimasta famosa: «Adieu, mes amis. Je vais à la gloire!» (trad. Addio, amici, vado verso la gloria!). Tale dettaglio fu riportato dall’amica Mary Desti che però in seguito confidò allo scrittore Glenway Wescott, di aver mentito al riguardo: le ultime parole che la Duncan pronunciò furono, probabilmente, «Je vais à l’amour» (trad. “Sono innamorata” ma anche “Vado verso l’amore”).
Un uscita di scena da vera artista .
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