Pomeriggio di Capodanno a teatro con lo spettacolo che ha trionfato al Festival d’Avignone nel 2016 per l’inesauribile tourbillon di situazioni surreali nutrite di umorismo, poesia e fantasia infinita: è “Au Bonheur des Vivants” della compagnia francese Les Âmes Nocturnes in scena al Teatro Comunale di Casalmaggiore lunedì 1 gennaio alle ore 18, inserito nel cartellone della Stagione 2017/2018 diretta da Giuseppe Romanetti, realizzata dal Comune di Casalmaggiore con il sostegno della Regione Lombardia nell’ambito di Circuiti Teatrali Lombardi, con il contributo di La Briantina S.p.A.
Ispirato ai fumetti di Gaston Lagaffe, ai dipinti di Magritte, alla Famiglia Addams, a Murnau e ancora a Fritz Lang, “Au Bonheur des Vivants” – spettacolo prodotto da Le Shlemil Theâtre in coproduzione con il Teatro di Charenton Saint-Maurice e con il sostegno di Spedidam, La Palène (Rouillac), La Vence Scène (Saint-Egrève), Le Chapieteau MeliMelo (Versailles), Comune di Celle-es-Bordes – è una favola per grandi e piccini, che racconta la magia del vivere narrata da una sorta di Auguste e Pierrot, Cécile Roussat e Julien Lubek, ex allievi di Marcel Marceau, compagni di sventura e poesia, atterrati da non si sa dove per rendere visita a questo effimero mondo dei viventi. Si cercano, si trovano, si prendono gioco l’uno dell’altro con ferocia e tenerezza. La notte, col suo mistero e la sua intimità, è sempre presente nel loro gioco che, con grazia, scherza con i linguaggi del teatro dell’illusionismo, specchio di quell’ingenuità sulla quale si fonda l’atto stesso del fare teatro. Ci conducono e ci rivelano tutti gli ostacoli da aggirare per raggiungere “le gioie della vita” fino al momento finale, di una grazia assoluta, che rappresenta l’essenza del vivere.
Hanno deciso di chiamarsi Les Âmes Nocturnes perché raggiungono l’animo del pubblico toccando un punto universale: il silenzio della notte. Quel punto di confine tra il confortevole abbandono nell’intimità, la paura dell’incognito e i fantasmi che da esso nascono. Scrivono e mettono in scena immagini familiari ma sempre fuori centro, dolci ma impertinenti, accessibili ma pregne di molteplici gradi di lettura.
Nessuna legge fisica resiste al turbine di follia che percorre la scena, della quale i primi a stupirsi sono i due complici: allegoria della loro futilità e della loro assurdità, gli oggetti del quotidiano si ribellano. Piume, fogli di carta, fumo, sembrano uscire da una Vanità del XVII secolo e riportano continuamente i personaggi alla loro lotta contro l’irragionevolezza delle loro vite, proiettandoli in una animatissima quiete dei sensi. Ben presto, lo stesso corpo non è più un rifugio, le mani cadono, così come i piedi e le teste, i corpi si scompongono e si ricompongono in modo tanto naturale quanto imprevedibile.
Lo spazio obbedisce allo stesso sconvolgimento delle regole: i contenitori sembrano più piccoli dei loro contenuti, com’è per lo scatolone di cartone, porta d’ingresso dello spettacolo, attraverso la quale le due anime entrano in scena. Ma anche per un ufficio nel quale i cassetti prendono vita, o per una staccionata, la cui scala immaginaria, nel paradosso della situazione si propone come punto di passaggio verso un “altrove”. Finalmente è lo spazio stesso che viene a mancare nell’ultima scena, nella quale i due protagonisti cercano di cambiare la lampadina difettosa a un lampadario e si ritrovano sospesi nel vuoto, in una camminata senza gravità, tenendosi semplicemente con una mano alla lampada…Momento di grazia assoluta, nel quale rimane solo una camminata in tondo, esasperata e inebriante.
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