Michele Pogliani torna sul palcoscenico del Teatro Vascello il 16 e 17 gennaio 2018 alle ore 21.00 con un nuova produzione dal titolo Trilogìa.
Lo spettacolo, come si evince dal nome, si articola in tre quadri ognuno dei quali rappresenta tre momenti della vita di un uomo: un percorso decisamente autobiografico che induce il corpo a riflettere sul percorso vitale della persona.
Un viaggio che si srotola pian piano fino ad arrivare a una vera e propria catarsi, l’acquisizione di una maturità, di una nuova consapevolezza: quella di essere solo, figlio di nessuno ma conscio di una compiutezza acquisita e accettata.
Il colore rosso, come nelle tragedie greche, segna il filo conduttore di questi stadi, tre atti di un unico grande progetto che Pogliani traccia secondo una precisa logica di significati e quadri coreografici.
Il primo quadro è Alea (traduzione latina di dado) e rappresenta la componente casuale della vita che sposta gli equilibri e sposta l’esito finale verso il fato. La scena
si gioca su una matematica specifica che si calcola in base alle “facce” di un dado: sei numeri e sei lati coesistenti ma indipendenti e, ognuno, con la propria identità.
In scena un quadrato che misura 6 metri per 6 metri realizzato con un tappeto verde che ricorda un prato. Un solo che diventa un trio e che riconcilia Michele Pogliani con la sua formazione newyorkese e alla danza minimalista e geometrica di Lucinda Childs, che Pogliani ha seguito per anni cruciali della sua carriera.
Il secondo quadro è Ananke, ossia la necessità: è questo il momento del viaggio interiore che produce la catarsi. Nella lente d’ingrandimento di Pogliani cinque eroi metropolitani, con la loro necessità di sapersi vivi che, entrando e uscendo dalla luce, non temono di scegliere il proprio spazio e l’amore, anche quando va al di là delle barriere. Al centro della scena ancora una volta un quadrato disegna il luogo “illuminato” oltre il quale si spingono i protagonisti, superando i limiti imposti.
Una nuova sfida coreografica che delinea la costante ricerca di uno spazio che non sia perfetto ma giusto, un’armonia tra impulso e contenimento.
Il terzo e ultimo quadro è Ilinx, ossia la vertigine: al centro della scena della propria esistenza il protagonista di questo assolo vive l’ebbrezza e l’alienazione, lo stordimento e l’estasi che si provano quando si è soggetti a forze che abbattono il proprio controllo. Un solo dove il corpo e i suoi brevi schizzi di movimento trovano il senso compiuto: la realizzazione che tutto è cambiato, la certezza di non essere più figlio ma uomo con un futuro, si incerto, ma da scoprire e ricreare.
“Vi ho promesso di non dimenticare. Vi ho portati in salvo nella memoria.
Voglio tenere tutto stretto, fin dal principio, i dettagli, il caso, il fluire degli eventi. Prima che la distanza offuschi lo sguardo che si volge indietro […].Eppure solo la distanza consente di risalire a un probabile inizio” ( Luther Blisset)
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