di Massimiliano Raso
Per la sua caratteristica “effimera”, la danza non si presta con facilità ad essere sottoposta a trattazione storica. E’ opinione condivisa, che gli esseri umani abbiano saputo utilizzare a loro vantaggio la danza, seppur con significati e funzioni diversi a seconda delle civiltà e delle occasioni in cui è stata praticata, in tutti i tempi della storia. A testimonianza di ciò, a partire dal Quattrocento, epoca di grandi sconvolgimenti economici, religiosi e sociali, l’uomo scopre una propensione per la danza come non mai nel passato, scaturito dall’Umanesimo che provoca un fiorire di tutte le arti. Le prime testimonianze della messa in scena di uno spettacolo danzato, oggi si dovrebbe dire di un balletto, sono riconducibili alle corti italiane. E’ plausibile, infatti, che al banchetto di nozze fra Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d’Aragona del 1489, non si siano certamente impressionati i presenti nel vedere tanta grandiosità coreutica e degli apparati scenici. E’ da ricondurre alla Francia, però, che ha saputo ricalcare modelli di fastosi spettacoli italiani, il primo balletto della storia, almeno secondo gli studiosi: il “Ballet comique de la reine”, rappresentato a Parigi alla corte di Enrico III ed alla presenza di Caterina dè Medici. Si tratta di una difficile composizione coreografica, su soggetto mitologico e della durata di cinque ore; uno spettacolo sontuoso che parla del mito antico di Circe che ha il potere di trasformare gli uomini in bestie e includeva musica strumentale, canto, lettura di versi, danza e in cui gli stessi nobili di corte prendono parte alla rappresentazione. Per balletto s’intende un prologo cantato nel quale è esposto l’argomento dello spettacolo in un certo numero di entrées (balletti, ma anche carri allegorici, intermezzi di gruppi corali) e si conclude con un grand ballet. Inizialmente nelle rappresentazioni, come è dato sapere, i danzatori sono tutti uomini; secondo l’uso del tempo, infatti, le parti femminili vengono interpretate dai maschi. Gran parte della conoscenza che si ha della danza in Italia nel periodo del Rinascimento, è in prevalenza circoscritta all’area toscana del XVI secolo, e le stesse opere letterarie di Dante, Boccaccio, dei poeti dell’ars nova, offrono pochi dati utili alla sua ricostruzione. Quasi sicuramente il balletto si origina nel passaggio tra il Quattrocento e Seicento con un cambiamento sociale dell’utenza, non più dedita tutti i giorni alla danza. Rarissime testimonianze provano la nascita di nuovi repertori di danze, che soppiantano il vecchio per impostazioni tecniche e stilistiche nuove. Ad ogni modo, i costumi e la formazione, le continue celebrazioni presso le corti rinascimentali italiane, oltre alle connesse composizioni dei maestri di ballo, danno vita e forma al balletto. Ciò è talmente auspicabile se si considera la sua nuova funzione pedagogica dei principi e degli aristocratici, requisito fondamentale del protocollo di corte. Non a caso Silvio Piccolomini affermava che: ”due cose devono essere istruite ai fanciulli. Il corpo e l’anima”. Sicuramente la familiarità con l’arte di Tersicore costituisce requisito indispensabile per chi voglia vivere all’interno della società di corte. Attorno alle corti rinascimentali, infatti, inizia a gravitare tutta una macchina tersicorea in cui intellettuali, aristocratici, re e regine, con funamboliche coreografie ancora in via di sviluppo, esibiscono il loro status sociale e la loro capacità di selfcontrol. Le sale, i giardini di palazzo, le stanze di corte, ogni luogo sfarzoso d’ora in poi è idoneo per movimentare la sofisticata vita di corte. Con l’emancipazione dalle altre forme teatrali, dunque, la danza inizia un processo il cui linguaggio si unisce a quello della musica e a quello delle arti figurative, traendo spunto da entremets, manifestazioni conviviali che si tengono tra una portata e l’altra durante i fastosi banchetti. In questa fase, quindi, si avverte una progressiva evoluzione sul lessico tecnico e una nuova modalità di nominare le danze. A rafforzare i contenuti della tradizione coreica, Cesare Negri e Fabrizio Caroso, i più importanti maestri di danza dell’epoca, rappresentano blocchi di passi, singoli movimenti, tecniche esecutive che sostituiscono “equivoci coreici” superati. Da queste premesse, appunto, in Italia si generano i trattati “il ballarino” e “Nobiltà di dame” di Fabrizio Caroso e “le Gratie d’amore” di Cesare Negri. Sono opere dove viene esaltato, nel repertorio di danze, lo spazio riservato alla teoria, alle regole di cortesia e dell’etichetta. Con la crisi delle corti europee, però, nei secoli successivi la danza acquisisce un ulteriore linguaggio specifico, avviandosi così a diventare un vero e proprio genere particolare di spettacolo.
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